E’ accaduto che – in un contesto culturale religioso e favorevole alla vita – si sia deciso di “pregare per le donne che hanno abortito”.
E’ giusto farlo? Certamente!
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Mi sembra evidente qual è la visione dell’aborto che ha portato a questa decisione: sulla scena dell’aborto i protagonisti sono due: la madre – che agisce – e il figlio – che subisce -.
E’ una madre che porta su di sé tutto il carico della responsabilità.
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C’è da dire che questa visione dell’aborto è già più completa rispetto a quella di certo femminismo, in cui il figlio non viene per nulla considerato, e c’è una sola protagonista: la madre (che a questo punto diventa semplicemente: la donna).
Una conseguenza inevitabile di questa visione è che non si parla più di responsabilità della donna, ma solo di libertà.
Dissento decisamente dalla seconda visione, ma mi addolora anche la prima. E’ corretto puntare i riflettori solo sulla madre?
E il padre del bambino?
Spesso è da lui che arriva la decisione perentoria di ricorrere all’aborto, come soluzione a un problema che non si sa altrimenti gestire.
Ma quando la donna è costretta a subire tale volontà, smette di essere protagonista e diventa scena – involontaria e sofferente – dell’aborto: è l’UOMO che ha abortito.
In realtà sulla scena dell’aborto, oltre a questi protagonisti, stanno altri comprimari, il cui ruolo è quasi sempre taciuto, ma che spesso sono essenziali perché l’aborto avvenga; mi riferisco a MEDICI, INFERMIERI, … .
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E se questi sono “semplici” esecutori, più carico di responsabilità può essere il ruolo di altri; mi riferisco, per esempio, a quei DATORI DI LAVORO che minacciano il licenziamento della lavoratrice se dovesse verificarsi una gravidanza.
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La DONNA solo in alcuni casi è la protagonista principale dell’aborto, spesso è vittima assieme al bambino e/o scena su cui si muovono altri protagonisti.
Preghiamo anche per loro.